Pillole – un romanzo con controindicazioni – carta

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Descrizione

Un tentato suicidio, un Santo Graal di psicopillole e infine il risveglio in uno strampalato ospedale psichiatrico, le cui brutture diventano per il protagonista lo specchio delle contraddizioni della società contemporanea, senza dimenticare che, in fin dei conti, “il suicida è qualcuno che, fino all’ultimo, ha immaginato un finale diverso”

di Michela R.

In un appartamento al dodicesimo piano di un palazzo color marrone, un uomo tenta il suicidio ingurgitando un intero Santo Graal di psicopillole. Lo fa perchè vede la sua vita come un susseguirsi di fallimenti: vive solo dopo che tutte le sue storie sono naufragate; lavora in una copisteria gestita da un pedofilo polacco; da anni è in cura, senza successo, da una psicologa freudiana; è dipendente dal provocare risse nei bar. Qualcosa non va per il verso giusto, però, perché si risveglia all’interno di una struttura psichiatrica. Le brutture e le contraddizioni di quel luogo diventano per lui lo specchio della contemporaneità tutta: una società fatta di hashtag selvaggi e selfie strategici, in cui il benessere passa attraverso l’assunzione di psicopillole, programmi per assopire la coscienza e filosofie orientali a buon mercato.

Scritto con un fine umorismo che lo accomuna a “Piccoli suicidi tra amici”, di Arto Paasilinna, il testo accompagna il lettore verso la sua sorprendente conclusione, perché, in fin dei conti, “il suicida è qualcuno che, fino all’ultimo, ha immaginato un finale diverso”.

Informazioni aggiuntive

Autore

Michela R.

Pagine

232

Formato

15×21 – rilegato – con alette – con segnalibro ritagliabile

2 recensioni per Pillole – un romanzo con controindicazioni – carta

  1. Renato Maria Luigi Ghezzi

    Finalmente un romanzo originale, innovativo, dalla scrittura brillante e coinvolgente. Una storia bizzarra e intrigante, che inizia con una fine, i preparativi per un suicidio.
    Un cocktail di pillole, un tipo per ogni amore della sua vita. Amori falliti o mancati che, presi uno per uno, sono sopportabili, ma tutti insieme diventano letali, come le 34 pasticche di psicofarmaci che il nostro protagonista decide di ingoiare per farla finita.
    Non solo l’amore gli è andato storto. Nell’assurda clinica psichiatrica in cui verrà ricoverato dopo il tentato suicidio ripercorrerà tutti i suoi fallimenti: la famiglia, il lavoro, i rapporti sociali. Ce li racconta in prima persona, con cinismo e una buona dose di ironia che estende a tutto il mondo.
    Il suo pensiero vaga tra ricordi e considerazioni sulla vita, senza nessun timore di esprimere giudizi sempre sorprendenti, mai banali. La fa anche con i suoi compagni di degenza, che chiama con nomi inventati dal suo sguardo critico: Calze Slabbrate, Nido d’Uccello, Tremore. Quei patetici ricoverati però sgretolano la sua corazza e gli fanno provare, forse per la prima volta, un sentimento di affetto. Affetto per Napoleone, che si crede la reincarnazione del generale; forse amore per Zoe, gambe sottili, sguardo limpido e disperato, una cicatrice tra naso e bocca. Che sia proprio amore, quello vero? Questa rinascita genera un senso di speranza che è il messaggio più forte e bello del libro.
    Il finale sorprenderà il lettore con un cambio di prospettiva imprevedibile, che lascia la porta aperta a molte considerazioni, che non anticipo per non guastare la sorpresa.
    La scrittura di Michela è asciutta, incisiva, pulita. I suoi personaggi ci fanno fermare spesso a riflettere, a volte con amarezza altre con un sorriso.

  2. Davds93 (proprietario verificato)

    Abbiamo un aspirante suicida, stanco della vita, del suo lavoro squallido, del suo appartemento grigio e del pezzo di croce di Gesù che la padrona di casa tiene nella vetrinetta, in attesa di ascendere al paradiso. Combattere contro le difficoltà della vita è un arte che sembra non appartenere al nostro narratore, che elenca le sue disfatte, amorose e non, come fa con gli psicofarmaci che mischia abilmente per tentare di togliersi la vita.
    A volte però, oltre la vita, è anche la morte a non volerti, a risputarti via, costringendoti a guardare dietro di te ancora una volta e capire cosa hai sbagliato e quando tutto ha preso una piega tanto schifosa.

    Definire questo romanzo “tagliente” è un eufemismo. Michela ci va giù decisa e ogni pagina pesa una tonnellata. Un umorismo nero, crudo, reale a tal punto da far male, che ti costringe a vedere il mondo così come il suo protagonista, portandoti a un livello di immedesimazione notevole.
    La trama è ben congeniata con l’alternanza tra il presente difficile e il passato che lo ha reso tale. Gli elementi ci sono tutti.
    Un manicomio pieno di stranezze e personaggi costruiti con il coltello, una famiglia solo all’apparenza normale, la fede usata a piacimento e a pretesto e ambienti angusti e soffocanti quanto la mente del protagonista, che ci mostra senza vergogna spaccati della sua vita che sanno di realtà più di quanto il lettore vorrebbe ammettere a se stesso. Storie che si intrecciano e si mescolano come le pillole e un finale degno di un grande romanzo.

    La scrittura è fluida, non si perde in descrizioni eccessive e lascia inespresse molte cose, quasi a voler costringerci a riflettere. Un viaggio introspettivo che, gli amanti del genere, apprezzeranno.

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