Descrizione
Dagli anni ’50 all’11 settembre gli Sates di Benny Manocchia. Tra immagini e parole, tutto quello che non sapete sugli Stati Uniti.
Benny Manocchia torna indietro con la memoria e ci racconta l’America per come l’ha vissuta: tra interviste a personaggi famosi, elezioni, viaggi ed emozioni riesce a farci respirare l’aria di un’epoca non molto lontana. Dagli anni ’50 all’11 settembre, in una terra che vedeva gli italiani come fumo negli occhi, Benny ci presenta gli States in una maniera del tutto personale. Tra immagini e parole tutto quello che non sapete sugli Stati Uniti.
Francesca Mereu –
Benny Manocchia è emigrato negli Stati Uniti nel 1955 e ha iniziato quasi subito a collaborare con numerose testate italiane.
In più di 40 anni di lavoro come corrispondente in America, Manocchia ha incontrato stelle di Hollywood, scrittori, politici, ha girato il paese in lungo e in largo e ha raccolto tante storie. In questo libro, il giornalista rievoca il proprio percorso professionale raccontandoci l’America e i personaggi che ha incontrato. E lo fa descrivendo i retroscena delle interviste per far risaltare il lato umano delle persone con cui parla.
Troviamo così un Marlon Brando ingrassato, confuso nell’isola polinesiana di Tetiaroa che si è comprato sognando di trasformarla in paradiso.
Manocchia scrive:
[…] mi accolse la spiaggia desolata, alquanto sporca e praticamente deserta; la vegetazione era scarsa e su tutto aleggiava un odore maledettamente sgradevole. Mi incamminai lungo un vialetto pieno di sterco di animali. Dopo un po’ sentii una voce parlare in… che lingua era? In fondo al viale scòrsi una specie di capanna. Mi apparve solida, parzialmente coperta da sterpaglia, con una sola finestra in vista e antenne che spuntavano dal tetto come ramoscelli secchi. La porta era aperta, entrai e vidi lui, Marlon, di spalle – larghe, immense -, che parlava in un microfono.
E poi ancora:
Ogni tanto Marlon raccattava qualcosa dal terreno e la mangiava. «Particolari noccioline molto buone», le definì. Ora parlava a ruota libera, ma mi accorsi che stava parlando a se stesso. L’avvocato mi aveva avvisato: non meravigliarti se comincia a parlare, ma non a te.
Bella la storia di Mike Tyson che da bambino preferiva avere i piccioni come amici, perché i suoi coetanei di Brooklyn lo deridevano. Scoperto da Costantino “Cus” D’Amato, Tyson diventerà il grande pugile che è stato.
Il ragazzo a volte era attento, più spesso però pensava ad altro. Cus gli disse che aveva visto in lui la forza di un futuro campione del mondo. In realtà Tyson avrebbe voluto diventare un cantante, ma aveva la vocina di un bambino. Quando diventammo amici glielo dissi e lui mi guardò in modo strano. «Si vede che non capisci molto di canzoni e di cantanti», rispose cercando di alterare il tono di voce.
Ho amato i racconti su Tennessee Williams e Ernest Hemingway, perché fanno emergere tratti poco conosciuti della personalità dei due scrittori.
Ecco cosa scrive Manocchia su Tennessee Williams:
L’intervista fu laboriosa, nel senso che a volte, per i segni del tempo e della vita, Tennessee perdeva il filo della chiacchierata, oppure spesso rispondeva alle domande formulandone delle altre a me. «Vorrai chiedermi della Magnani: Nannarella era unica», esordì, con un inaspettato accento romanesco. Un giorno, infatti, Thomas scoprì l’Italia. Nel corso delle sue sempre più lunghe soste a Roma conobbe Anna Magnani e divenne un ardente fan delle qualità artistiche di “Nannarella”, come aveva imparato a chiamarla. Un’amicizia che durò 24 anni. Proprio per lei scrisse “The Rose Tattoo”: «Era unica, ti dico. Scrivevo le parole e nella mia mente vedevo lei che le recitava.»
Manocchia intervista Hemingway nella sua casa di Key West. Tante sarebbero le frasi del grande scrittore che vorrei citare, due, però, mi hanno colpito in modo particolare:
Tu vuoi fare il giornalista? Ti piace scrivere? Se non ti piace, mettiti a vendere banane. Deve piacerti fino a farti sentire male. E metti sempre in chiaro quello che ti fa male.
Però i libri ti mangiano il cervello un pezzo alla volta. Tu che credi di avere una bomba in mano e l’editore che ti chiede tutt’altra cosa. Poi arriva l’assegno e pensi: sono l’inviato speciale del Signore per dire ai comuni mortali come e cosa è la vita.
Cronache Americane è come un racconto a più voci che ci fa conoscere non solo celebrità, ma anche il carattere e la mentalità dell’americano comune.
Ho apprezzato molto lo stile scorrevole del giornalista.