Ritratto del poeta in autunno – carta

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Descrizione

Quella di Colacrai è una poesia in cui si può persino avvertire l’odore della pelle (ma anche del sole della neve del sangue) così come il tanfo delle prigioni in cui si consumano agonie silenziose. Il verso a tratti si dilata, facendosi narrazione.

di Davide Rocco Colacrai

I versi di Colacrai traggono linfa dalla dimensione della storia di un genere umano che sembra aver smarrito le sue insegne e crocifigge gli angeli cui è toccata la stimmata della non conformità alla massa. […] È una poesia in cui si può persino avvertire l’odore della pelle (ma anche del sole della neve del sangue) così come il tanfo delle prigioni in cui si consumano agonie silenziose. Il verso a tratti si dilata facendosi narrazione; rifugge la cantabilità ma ha una sua musica tutta interiore che il lettore attento avverte distintamente. Le immagini germinano le une dalle altre, mai scontate; alcune si imprimono nella memoria. […] Se questa silloge – alle porte dell’autunno – ci inchioda alle tante croci di cui ignoriamo l’esistenza – e da cui molti non si sentono toccati – la sua è anche una poesia in cui percepisci la forza della speranza, nell’auspicio che ci siano figure come quel padre-professore quasi sulla soglia della raccolta, “con il coraggio che bruciava come un’instancabile stella cometa”.
(Dalla Postfazione di Gianni Antonio Palumbo)

Disponibile anche in ebook

Informazioni aggiuntive

Autore

Davide Rocco Colacrai

Pagine

92

Formato

12×17 – con alette – con segnalibro ritagliabile

1 recensione per Ritratto del poeta in autunno – carta

  1. Elisa Giusto

    La straordinaria e raffinata silloge “Ritratto del poeta in autunno” dell’autore Davide Rocco Colacrai è una stupenda raccolta di poesie empatiche e sociali.

    Colacrai in numerosi componimenti parla dei “vinti”: persone emarginate, considerate diverse, martiri che sono morti durante attentati (strage di Bologna e 11 settembre) o sono stati vittime di efferate violenze, come Matthew Sheppard. In queste liriche intense e dilaceranti dipinge gli ultimi istanti di “cristi” condannati e fragili, di innocenti angeli a cui sono state strappate le ali e le vite all’improvviso.

    “assomiglio a un Cristo
    a cui hanno negato il giardino e la spina,
    inchiodato alla mezzanotte,
    capovolti i ricordi, 
    l’asse che diventa abisso, 
    il respiro un giglio bianco che si congiunge
    alla mia orma, scalza
    nella fragilità con cui il gesto presagisce
    brividi che alternano stagioni,
    la gola serrata dalla promessa di falce,
    le costole che premono come se volessero espellere il sangue 
    e insieme la vita da questo corpo
    che si lascia martoriare 
    e brucia come brucia il roveto della notte
    quando tacciono i sogni”

    L’autore svela interiorità inespresse attraverso corpi ricettivi, esposti, “molli”, “nudi” e “umidi”, conchiglie che, quando si schiudono, mostrano le loro fragilità sfolgoranti di preziosità. 
    La vulnerabilità di quella poesia di carne e di sangue che è l’uomo viene descritta in tutta la sua luminosa potenza in canti di rivoluzione che entrano nel cuore e scuotono la mente.

    “Appendo la mia croce alla notte
    e sento spuntare dai miei fianchi umidi come scogli un’alba
    che vince il Giuda stretto in questo sogno
    un alito d’inconsolabile follia.
    Quasi fossi una sposa prigioniera della propria innocenza.”

    Sono troppe le ingiustizie e le disuguaglianze che ancora si compiono ovunque nel mondo e in potenti poesie contro il bullismo e contro la discriminazione Colacrai parla di sé e si fa portavoce di tutti coloro che devono continuamente subire violenze di ogni tipo, semplicemente perché considerati diversi. 
    Nella poesia dedicata ad Ettore, che, nei primi anni sessanta, fu fatto sottoporre ad elettroshock dalla famiglia perché omosessuale, il poeta con estrema delicatezza racconta un immenso dolore.

    “Anche gli angeli dormivano 
    mentre le mie ossa si stringevano in un pentagramma d’inverno 
    la cui clessidra era una parola scomposta nel vuoto 
    e l’urgenza una malattia.
    E io sognavo ancora, senza paura,
    di diventare un pittore – 
    una pennellata era per sopravvivere
    un’altra per salvarmi,
    e la terza era per esistere nella cruna di una preghiera
    mentre liquido il mio pensiero, ed evanescente, quasi un’aritmia d’amore, si faceva alba.”

    Attraverso l’amore per la letteratura, la storia, l’arte, il cinema e la musica Colacrai conduce in ogni meandro dell’animo umano, con poesie “senza lancette” in cui passato e presente comunicano profondamente, autunno e primavera coesistono, e ogni momento resta vivido nella memoria. “Non dimenticare” è l’undicesimo comandamento e può far sì che l’umanità migliori imparando dai propri errori.

    “troppi occhi aperti che nel cielo vedono per l’ultima volta la propria casa
    farsi lentamente ricordo, 
    macerie in cui è crollato il mondo,
    una normalità fatta di gesti che ha rivelato l’inferno,
    ognuno costretto in questo presepe 
    che partorisce all’incontrario tanti Gesù nell’autobus trentasette,
    sospeso il presente 
    e, con esso, la parola. 
    Sono le dieci e venticinque, senza sudario e senza lancette.”

    Numerose sono le dediche all’arte, perle del ricco bagaglio culturale e della viva curiosità dell’autore, la cui penna è impreziosita di miriadi di voci e pensieri scaturiti dalle molteplici letture.
    In questi versi dedicati a Useppe de “La Storia” di Elsa Morante, il poeta parla d’infanzia con una sensibilità infinita:

    “Si chiamava Useppe
    perché nelle sue domande instancabili alla meraviglia del mondo 
    era confinato di qua dal suo nome –
    era stretto nei suoi anni morbidi di sogni 
    come un cardellino che attraversa la verticale della pioggia”

    Raffinate ed evocative figure retoriche (ad esempio la stupenda sinestesia “l’odore del sole”) creano nella mente del lettore potenti e suggestive immagini, profumano d’infinito e cullano nel liquido amniotico di una Poesia che sa essere rifugio, resistenza, canto di denuncia e dolcissima madre.

    Questa splendida silloge contiene anche molte poesie intime come le dediche al padre, alla madre e al suo cane Manny a cui parla attraverso alcuni versi della canzone “Nessuno vuole essere Robin” di Cesare Cremonini. 

    Il poeta dedica alla sua infanzia e all’adolescenza poesie che mostrano il suo cammino di resilienza e la sua grande formazione, ed evidenziano l’importanza della presenza di “figure genitoriali” durante tutta la vita, perché non è sempre facile e possibile essere padri e madri di se stessi. Specchiarsi e trovare esempi da seguire permette di conoscersi sempre più a fondo: ogni persona, ogni personaggio storico, letterario o cinematografico può donare qualcosa di inestimabile.

    La malattia (mentale o fisica), la morte, la solitudine e la sofferenza sono narrate con una delicatezza e una sensibilità che permettono al lettore di provare una commozione profonda da cui scaturiscono importanti riflessioni.

    “Stretto nel mio affanno Dio. 
    Sono padre e figlio di me stesso,
    a volte senza storia
    altre ce ne sono troppe a sopravvivere alla mia attesa
    mentre brucio immobile, tra parentesi d’ostia ed edera,
    dove le lepri non osano,
    in questo deserto di angeli nudi di pietà.”

    Consiglio a tutti questa meravigliosa raccolta di poesie d’amore e rivoluzione che parlano di umanità e sofferenza con un registro alto e sublime, colmo di rara empatia.

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